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"Ori antichi della Romania. Prima e dopo Traiano",
in mostra al Museo
dei Fori Imperiali (Mercati di Traiano)
dal 17 dicembre 2010 al 3 aprile
2011
Una visita virtuale guidata dal prof. Mihai Barbulescu
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Come
fecero i Romani a perdere 5 kg d’oro? |
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Intorno al 300
d.C. i soldati romani eressero sulla sponda del Danubio, a
Hinova (prov. Mehedinti, nel sud-ovest della Romania), una
piccola fortificazione che, dopo circa 1700 anni, fu indagata
dagli archeologi. Essi constatarono con stupore che soltanto
a un metro dalla fondazione della cinta romana si nascondeva
un grande tesoro. Si trattava di bracciali, collane, un diadema,
migliaia di vaghi e di applicazioni per il vestiario, per
un totale di circa 5 kg d’oro.
I soldati romani si erano trovati davvero molto vicini a una
scoperta sensazionale come questa, ma non ebbero fortuna!
Cosa avrebbero pensato se avessero scoperto simili oggetti?
Non possiamo saperlo con certezza, sebbene anche gli autori
antichi menzionano „scoperte archeologiche” realizzate
dai Romani. Essi credevano, per esempio, che gli utensili
preistorici in pietra fossero la materializzazione del fulmine
divino di Iuppiter, cioè che nel punto in cui si era
abbattuto il fulmine era apparso un martello o un altro strumento
in pietra.
La stessa fortuna che ha voltato le spalle ai Romani ha arriso
agli archeologi moderni, che hanno rivenuto il più
ricco tesoro preistorico mai scoperto in Romania. Esso si
data nell’Età del Ferro (Hallstatt).
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Il vero pesciolino
d’oro |
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Gli Sciti,
popolazione preistorica originaria del sud della Siberia,
che fra il VII e il IV a.C. arrivò in Europa, stanziandosi
prima nel nord del Mar Nero e poi in Transilvania e in Pannonia,
conoscevano la favola del pesciolino d’oro? Chi non
ha mai sentito delle ricche tombe a tumulo (kurgan) scite
della Russia, nelle quali re e nobili sciti, ricoperti da
gioielli d’oro, si facevano inumare insieme con le loro
spose, i loro schiavi e cavalli, tutti uccisi in occasione
della sepoltura del loro signore?
Forse, proprio a un nobile scita appartenne il grande ornamento
in oro, lungo circa mezzo metro su cui è rappresentata
una creatura fantastica: un pesce con testa di cinghiale.
Si tratta di un esemplare tipico della raffinatezza cui giunse
l’arte scita nel IV a.C. Questo oggetto è arrivato
a Stâncesti (prov. Botosani, nel nord-est della Romania),
in una delle fortezze dei Traco-Geti, forse come bottino di
guerra. |
I Romani e l’oro
della Dacia |
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Cassio Dione,
uno storico romano del III d.C., racconta che prima delle
guerre contro i Romani, il re daco Decebalo avrebbe nascosto
il tesoro regale nel letto di un fiume che scorreva nelle
vicinanze della sua capitale, Sarmizegetusa. Ma Bicilis, uno
dei seguaci di Decebalo e fra i pochi a conoscenza del luogo
in cui era nascosto il tesoro, tradì il segreto svelandolo
ai Romani, i quali, alla fine delle guerre daciche, nel 106
d.C., portarono a Roma il tesoro dei Daci. Gli autori antichi
consegnano cifre astronomiche parlando di questo tesoro, ma
lo storico Jerôme Carcopino è arrivato alla conclusione
che si trattava di 165 tonnellate d’oro e di 330 d’argento.
Ma i Romani davvero si impossessarono di tutto l’oro
dei Daci? É vero che il foro di Traiano, a Roma, fu
edificato con il ricco bottino qui condotto dall’imperatore
trionfante. Ed è altrettanto vero che alcune scene
della Colonna Traiana illustrano il trasporto di questo tesoro
a Roma.
Gli archeologi, però, non sapevano a cosa credere:
tutti i gioielli daci rinvenuti erano d’argento, come
se l’oro presso i Daci fosse di assoluto monopolio regale
e deposto nel tesoro poi prelevato dai Romani.... Fino a quando,
cioè negli anni più recenti, non sono state
effettuate le scoperte sensazionali di Sarmizegetusa, la misteriosa
capitale dei Daci, l’unica nel mondo per i suoi santuari:
bracciali a spirale in oro, con estremità a testa di
serpente stilizzato, ciascuno del peso di 1 kg ... Quindi
non tutto l’oro dei Daci è stato scoperto dai
Romani. Gli archeologi hanno dunque ancora molto da scavare
e soprattutto da sperare in scoperte spettacolari. |
A Germisara come a
Fontana di Trevi |
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I Romani allestirono
a Germisara (oggi Geoagiu, prov. Hunedoara, nel sud della
Transilvania) le fonti termali, erigendo un complesso termale,
caratterizzato da quattro bacini scavati nella roccia, con
canali di scolo, spazi sacri etc. Le fonti con proprietà
terapeutiche erano poste sotto la protezione delle Ninfe,
come attestano le offerte qui deposte. Nella sabbia del fondo
di uno dei bacini sono state rinvenute circa 600 monete, lanciate
dai visitatori. Speravano, probabilmente, di ritornare ...
Sempre qui, sul fondo di un altro bacino, sono state rinvenute
otto placchette votive in oro, dedicate alle Ninfe e a Diana.
In tutto l’Impero romano sono note, finora, alcune decine
di tali scoperte in oro e in argento, simili a queste offerte.
L’insieme di questi otto oggetti d’oro di Germisara
è fra i più ricchi del mondo romano. |
Che tesoro, che storia
! |
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Nel 1837, a
Pietroasa (prov. Buzau, nel nord-est della Muntenia), due
contadini rinvennero fortuitamente il più celebre tesoro
antico della Romania. Dal momento che fra gli oggetti si trovavano
alcune fibule aquiliformi, il tesoro è noto con la
locuzione popolare „Gallina con i pulcini d’oro”.
Il tesoro è composto da vasi e gioielli d’oro;
inizialmente contava 22 oggetti, dei quali se ne conservano
oggi soltanto 12, del peso di 19 kg d’oro. Esso era
appartenuto alla casa reale ostrogota o visigota e fu occultato
probabilmente nella prima metà del V d.C.
Il tesoro ha conosciuto una storia tumultuosa. Gli scopritori
morirono in carcere, mentre l’acquirente fuggì,
distruggendo o vendendo parte degli oggetti; entrò
poi in possesso dello Stato romeno e costituì la principale
attrazione del padiglione romeno all’Esposizione Internazionale
di Parigi, nel 1867. Alcuni anni più tardi, uno studente
di teologia rubò il tesoro dal Museo di Antichità
di Bucarest che fu ritrovato presso la sua abitazione, nascosto
dentro il pianoforte ... Nel 1884, gli oggetti scamparono
miracolosamente a un incendio. Nel corso della prima guerra
mondiale, il tesoro dello stato romeno fu spedito in Russia
per esservi custodito, ma, dopo la rivoluzione russa del 1917,
le relazioni romeno-sovietiche si fecero tese e l’Unione
Sovietica lo confiscò, per poi restituirne una parte
intorno al 1956. Così, anche la „Gallina
dai pulcini d’oro” è tornata „a
casa”. |
Europa, V d.C.: gli
stessi gioielli presso tutti i Barbari germanici |
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Presso Apahida
(prov. Cluj, nella Transilvania centrale) sono state rinvenute,
nel 1889 e nel 1968, per una scoperta casuale, due tombe a
inumazione appartenenti, sulla base della ricchezza dei reperti,
ad alcuni re germanici del V d.C., forse Gepidi. Gli oggetti
d’oro della seconda tomba, (dei quali qui si presentano
una fibbia di cintura e due appliques della bardatura di un
cavallo) pesano circa 2,5 kg. Il defunto era un uomo particolarmente
alto (190 cm !).
Nella prima tomba fu sepolto il re Omharus, o Omahar (il nome
è scritto su un anello). I suoi gioielli sono molto
simili a quelli della tomba del re franco Childerico (morto
nel 481 e sepolto a Tournai in Belgio). Questi gioielli furono
creati con grande probabilità nell’Impero romano,
(forse in botteghe di Costantinopoli), su ordinazione della
nobiltà barbara. Sull’oro erano applicate pietre
semipreziose colorate, montate a „cabochon” e,
soprattutto, nella tecnica „cloisonné”.
Alcune scoperte (la fibula d’oro con segno della croce
nella tomba di Omharus, la fibula imperiale romana con onice
di un tesoro di Simleu Silvaniei in Transilvania) erano, probabilmente,
doni che gli imperatori romani facevano a questi signori barbari
che avevano acquisito lo statuto di federati dell’Impero
romano. |
Una principessa gepida
della Transilvania |
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Intorno al
500 d.C., l’accampamento della legione V Macedonica
di Potaissa (oggi Turda, nella Transilvania centrale) giaceva
in parte in rovina, essendo stato abbandonanto fin dal tempo
dell’imperatore Aureliano (270 – 275). Fra gli
edifici semidistrutti si stabilirono i Gepidi, gente di origine
gotica. Le antiche terme del castro, edificio imponente, erano
ancora in piedi e furono forse rifunzionalizzate nel „palazzo”
di un capo gepida, così come accadde anche nelle altre
città dell’Impero romano dove, nel V a.C., giunsero
i Barbari germanici.
Qui, nelle antiche terme del campo legionario, fu seppellita,
alla fine del V d.C. o all’inizio del VI, una nobile
gepida. Questa fu abbigliata con un camicione o lunga veste
di lino, ricamata con perle di vetro all’altezza del
busto. La veste terminava, sul davanti, con un laccio da cui
pendevano grandi perle d’ambra e su di essa c’era
un „peplo” di lana, trattenuto sugli omeri con
due grandi fibule (lunghe 25 cm) d’argento. In vita
indossava una cinta con una fibbia in oro argento e pietre
semipreziose (almandina, una specie di granato). A questa
cinta erano appesi uno specchio di metallo e un pettine in
osso. Alle orecchie portava orecchini d’oro con almandina.
Delle calzature si sono conservate soltanto le fibbie d’argento.
Il corpo fu poi coperto con una sindone di lino e deposto
in una fossa angusta, proprio nelle antiche latrine delle
terme ... La donna visse circa 35-45 anni, era di piccola
statura e, dicono gli antropologi, aveva partorito molte volte.
Chi era questa donna? Sulla base dei gioielli che la adornavano
da morta e che ammontano a circa 700 gr. d’argento e
quasi 30 d’oro, dobbiamo considerarla una nobile. Forse
era una „parente povera” dei re germanici sepolti
ad Apahida, a 40 km da Potaissa. Nelle loro tombe gli oggetti
d’oro erano molto più consistenti.
Potremmo anche paragonare la principessa di Potaissa ad un
personaggio storico: Arnegunda, la moglie del re franco Clotario
I e nuora di Clodoveo, che morì intorno al 565-570.
Nella sua tomba di Saint-Denis sono state rinvenute due fibule,
orecchini, una fibbia, tre aghi e un anello, pari a 400 gr.
di argento e 120 di oro. I „Barbari”, infatti,
erano, così come riporta Ammiano Marcellino a proposito
degli Unni, „accesi da una sconfinata avidità
per l’oro”... |
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